Mindfulness terapeutica

Una definizione precisa di mindfulness ci può sfuggire anche perché le definizioni moderne divergono dalla multidimensionalità delle loro radici buddiste (Grossman, 2011; Olendzki, 2011) e tradizioni diverse entro la psicologia buddista non necessariamente concordano sul significato della mindfulness (Williams & Kabat-Zinn, 2011).

Fra gli approcci pratici alla definizione della mindfulness in contesti clinici rientrano la scoperta di elementi comuni ai vari programmi di formazione (Carmody, 2009) o lo studio di quello che sembra utile ai pazienti in un trattamento orientato alla mindfulness. Riassumendo le opinioni che trovavano maggiore consenso fra gli esperti, Bishop e colleghi (2004) hanno proposto un modello della mindfulness a due componenti:

  1. “La prima componente comporta l’auto-regolazione dell’attenzione in modo che sia mantenuta sull’esperienza immediata, permettendo così un maggiore riconoscimento degli eventi mentali nel momento presente.”
  2. “La seconda componente comporta l’adozione di un particolare orientamento verso la propria esperienza, caratterizzato da curiosità, apertura e accettazione”.

Anche se nella letteratura psicologica dell’ultimo decennio è stata presa in considerazione soprattutto la regolazione dell’attenzione, in contesti clinici è particolarmente importante la qualità della consapevolezza mindful, caratterizza da assenza di giudizio, accettazione, gentilezza amorevole e compassione.

Jon Kabat-Zinn (2005), il principale pioniere della mindfulness nel campo della salute, l’ha definita “consapevolezza aperta, momento per momento, non giudicante” (p. 24). Quando abbiamo a che fare con emozioni intense e incessanti, abbiamo bisogno di una risposta compassionevole al nostro dolore (Feldman & Kuyken, 2011, Germer, 2009). Se il terapeuta o il paziente si ritraggono dall’esperienza sgradevole con ansia o disgusto, la nostra capacità di lavorare con quell’esperienza diminuisce significativamente.

Nella prospettiva della mindfulness, accettazione si riferisce alla capacità di consentire alla nostra esperienza di essere così come è nel momento presente – accettando sia le esperienze piacevoli sia quelle dolorose quando si presentano. Accettazione non significa approvare un comportamento negativo; l’accettazione momento per momento è anzi un prerequisito per il cambiamento comportamentale.

“Il cambiamento è il fratello dell’accettazione, ma è il fratello minore” (Christensen & Jacobson, 2000, p. 11).

Anche i clinici orientati alla mindfulness considerano l’auto-accettazione centrale al processo terapeutico (Brach, 2003; Linehan, 1993a). Per usare le parole di Carl Rogers, “Il curioso paradosso della vita è che, quando mi accetto così come sono, allora posso cambiare” (Rogers, 1961, p. 17).

La definizione concisa di mindfulness che usiamo qui è consapevolezza dell’esperienza presente con accettazione. Queste tre componenti si possono trovare nella maggior parte delle discussioni della mindfulness sia nella psicoterapia sia nella letteratura buddista.

Le componenti sono completamente intrecciate in un momento di mindfulness, ma nella vita comune la presenza di un elemento non implica necessariamente gli altri. Per esempio, la nostra consapevolezza può essere completamente assorbita dal passato anziché dal presente, come nel caso di una collera cieca per un’ingiustizia percepita. Possiamo anche avere consapevolezza senza accettazione, come nell’esperienza della vergogna.

Analogamente, può esistere accettazione senza consapevolezza, come nel perdono prematuro; e una centratura sul presente senza consapevolezza può sorgere in un momento di ebbrezza. I terapeuti possono usare questi tre elementi come una misura della mindfulness in se stessi e in altri pazienti. Siamo consapevoli di quello che accade in noi e intorno a noi, in questo momento preciso, con un atteggiamento di accettazione calda e partecipe”?

Mindfulness e livelli di pratica

Per conoscere la mindfulness bisogna sperimentarla. Si può praticare la mindfulness con gradi di intensità diversi. A un estremo del continuum della pratica sta la mindfulness quotidiana. Anche nella nostra vita quotidiana, spesso vissuta sotto pressione e nella distrazione, è possibile avere momenti mindful.

Non è necessario nemmeno essere calmi per avere della consapevolezza mindful, come quando scopriamo “Sono proprio in collera in questo momento”. Questa è mindfulness nella vita quotidiana, ed è anche come si verifica normalmente nella psicoterapia.

All’altro estremo del continuum troviamo monaci e laici che trascorrono notevoli quantità di tempo in meditazione. Quando abbiamo l’occasione di stare seduti a lungo con gli occhi chiusi, in un luogo silenzioso, e di perfezionare la concentrazione su una cosa (per esempio, il respiro), la mente diventa come un microscopio che può rilevare la più piccola attività mentale.

Se dovesse essere percepita una sensazione di prurito in qualsiasi parte del corpo, mantieni la mente su quella parte e nota mentalmente “prudere”… Se il prurito dovesse continuare e diventare troppo forte e dovessi avere l’intenzione di grattarti la parte che fa prurito, assicurati di notare mentalmente “intendere”.

Solleva lentamente la mano, notando simultaneamente l’azione di sollevare e poi quella di toccare quando la mano tocca la parte che prude. Gratta lentamente in completa consapevolezza di grattare. Quando la sensazione di prurito è scomparsa e intendi “smettere di grattare”, fai attenzione a prendere la solita nota mentale di “intendere”. Ritira lentamente la mano, al contempo notando mentalmente l’azione, “ritirare”. Quando la mano è a riposo nel suo solito posto e tocca la gamba, “toccare”. (Mahasi, 1971, p. 5-6)

Questo livello di consapevolezza precisa e sottile, in cui possiamo addirittura rilevare l’“intendere”, richiede chiaramente un livello fuori dal comune di dedizione da parte di chi lo pratica. Cosa notevole, l’istruzione appena riportata è considerata un’istruzione “di base”. Mahasi Sayadaw scrive che, in stadi più avanzati, “Alcuni meditatori percepiscono distintamente tre fasi: notare un oggetto, il suo cessare, e il tramontare della coscienza che conosce quel cessare – tutto in rapida successione” (1971, p. 15).

I momenti di mindfulness hanno in comune alcuni aspetti, indipendentemente da dove si collocano sul continuum della pratica. Nella vita quotidiana, il momento effettivo del risveglio, della mindfulness, è all’incirca lo stesso per chi è esperto nella meditazione e per chi è alle prime armi. I momenti mindful sono:

  • non concettuali: la mindfulness è consapevolezza incarnata, intuitiva, che si è districata dai processi di pensiero;
  • non verbali: l’esperienza di mindfulness non può essere catturata a parole perché la consapevolezza si presenta prima che nella mente sorgano le parole;
  • centrati sul presente: la mindfulness è sempre nel momento presente. L’assorbimento nei pensieri ci allontana temporaneamente dal momento presente;
  • non giudicanti: la consapevolezza non può presentarsi liberamente se non ci piace quello che stiamo vivendo nell’esperienza;
  • partecipativi: la mindfulness non è un essere testimoni in modo distaccato, ma fare esperienza della mente e del corpo in modo intimo, ma al tempo stesso libero da ogni peso;
  • liberatori: ogni momento della consapevolezza mindful offre un po’ di libertà dalla sofferenza condizionata, un po’ di spazio intorno al nostro disagio.

Queste qualità si presentano simultaneamente in ogni momento di mindfulness. La pratica della mindfulness è un tentativo cosciente di tornare al momento presente con consapevolezza calorosa e partecipe, più e più volte, con tutte le caratteristiche elencate sopra. La mindfulness stessa non è qualcosa di fuori dal comune; è rara invece la continuità della mindfulness.

da Bassanini, A. (a cura di, 2018). Le Psicoterapia Orientate alla Mindfulness. Milano: Edra Editore.

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